Psicotraumatologia

tafel008

Elementi di Psicotraumatologia

Il trauma psichico si produce nel momento in cui l’individuo è sottoposto ad un’esperienza di discrepanza vitale – e cioè, che apre la possibilità o quanto meno la prospettiva della morte – fra fattori situazionali e capacità di coping /elaborazione individuale. Questa esperienza è associata a sensazioni di vulnerabilità e impotenza tali da produrre uno sconvolgimento duraturo nella concezione di sé e del mondo. Sintomatica in questo senso è la tendenza, da parte delle persone che hanno subito un trauma psicologico, a riferirsi agli eventi della propria vita distinguendo fra un “prima” e un “dopo” l’accadimento.

Il processo traumatico è quindi un concetto a due poli: da una parte, la situazione potenzialmente traumatica; dall’altra, la reazione manifestata dalla persona. Questo confronto può avere esito positivo – quando le capacità di coping individuale sopravanzano l’assalto degli stimoli stressogeni – oppure negativo – se l’individuo viene sopraffatto dalla situazione e rimane traumatizzato.

  • La situazione traumatica

Ogni situazione traumatica è resa tale dall’incontro fra fattori oggettivi e soggettivi.

Fra i fattori oggettivi vi sono:

  • il tipo di esperienza
  • la durata dell’esposizione
  • la gravità dei danni fisici subiti
  • (in caso di attacco personale) il grado di relazione con il perpetratore dell’evento lesivo

Fra i fattori soggettivi:

  • percezione e valutazione della situazione traumatica
  • significati personali attribuiti
  • storia individuale
  • precedente atteggiamento nei confronti di questo genere di situazione
  •  La reazione traumatica

La percezione del pericolo scatena nel nostro corpo e nella nostra psiche una reazione finalizzata ad aumentare il più possibile le probabilità di sopravvivenza. Una volta si parlava appunto di “istinto di sopravvivenza”; oggi, piuttosto, di reazione “Fight or Flight” (letteralmente, “combattere o fuggire”).

La reazione “Fight or Flight”, o “reazione acuta da stress” avviene durante l’esposizione alla situazione traumatica ed è una risposta specifica caratterizzata da diverse fasi.

1° fase: attivazione, o eccitazione, o arousal

sul piano fisiologico, l’eccitazione di alcuni neuro-ormoni (come per esempio la noradrenalina e l’epinefrina) determina il rilascio nel sangue di sostanze ormonali (ossitocina, cortisolo, etc.) che causano aumento della frequenza cardiaca, accelerazione del ritmo respiratorio, e altre reazioni preparatorie al compito bio-evolutivo di Fight or Flight.

sul piano neurologico, queste reazioni determinano una parziale disattivazione del livello corticale (pensiero “astratto”) a favore di quello “limbico” (pensiero “operativo”): il cervello inizia a funzionare secondo modalità più arcaiche, ma anche maggiormente funzionali alla sopravvivenza. Questo avviene perché la sub-attivazione corticale facilita gli automatismi e il ricorso a pattern comportamentali istintivi (o “di base”), molti dei quali di natura inconscia o “procedurale”.

Questo stato di attivazione generale è finalizzato a incrementare le probabilità di sopravvivenza, e sul piano comportamentale si manifesta con:

  • maggiore potenza muscolare
  • riduzione dei tempi di reazione (reagisco più velocemente)
  • anestesia somatica (sento di meno il dolore, la fame, la sete e la stanchezza)
  • ipersensorialità (vedo e percepisco più acutamente)
  • diminuzione della capacità di ragionamento “astratto”

A livello psicologico, si amplifica il senso del pericolo, che viene soggettivamente vissuto come paura. A sua volta, la paura aumenta lo stato di attivazione creando un feedback positivo (sinergia) fra psiche e corpo.

L’effetto complessivo consiste in una focalizzazione attentiva, sensoriale e cognitiva su pochi elementi per volta (“monitoring”), ma importanti ai fini dello svolgimento del compito bio-evolutivo di Fight or Flight.
Per esempio, se il compito è quello di uscire rapidamente da un edificio in fiamme, il campo visivo si restringerà per concentrarsi soltanto sulle possibili vie di fuga.

La fase di attivazione è un pattern filogeneticamente molto antico nel quale rientrano molte altre reazioni fra le quali, per esempio, lo stimolo allo svuotamento gastrointestinale, che è funzionale sia alla performance (combattere o fuggire) che alla sopravvivenza in caso di lesioni. Infatti, riportare uno squarcio addominale quando l’intestino è pieno aumenta enormemente il rischio di infezione e di conseguenza le probabilità di morte.

2° fase: Freezing

Nel caso in cui la persona si trovi nell’impossibilità di utilizzare l’attivazione che si è prodotta durante la prima fase della reazione traumatica per “combattere o fuggire”, si innesca una reazione difensiva di secondo livello che prende il nome di “Freezing” (letteralmente, “congelamento”).

Tipicamente, il Freezing si verifica quando la persona si trova in condizioni di forzata immobilità – come per esempio può accadere durante un terremoto – e non ha quindi la possibilità di scaricare l’energia accumulata in un compito di tipo motorio.

Sul piano psicologico, il Freezing è una reazione di dissociazione emotiva, cognitiva e sensoriale, che isola la persona da quello che le sta succedendo in quel momento.

In altre parole, è come se venisse “staccata la corrente”: il cervello è fatto “svenire” perché, se fosse totalmente presente a se stessa, la persona verrebbe sopraffatta dalle circostanze in maniera forse definitiva.

Questa esperienza dissociativa viene di solito descritta con frasi del tipo “Mi trovavo lì, ma era come se fossi da un’altra parte”, “Mi sentivo come se fossi fuori dal mio corpo e mi vedessi agire dall’esterno”, “ “Le cose intorno a me sembravano strane, irreali”, oppure, “Ho inserito il pilota automatico”, o ancora, “Ero in stato di shock psicologico”.

Anche espressioni del tipo “Ho visto qualcosa che sembrava reale, ma che invece non lo era” e “Ho percepito un odore particolare, anche se sapevo che non c’era” segnalano che la persona ha vissuto (o sta vivendo) un’esperienza dissociativa.

Altri sintomi indicativi dello stato di Freezing sono:

  • le amnesie (“Non riesco a ricordare i particolari di quello che è accaduto”, “Sono rimasto sconvolto da qualcosa ma non ricordo cosa”)
  • le alterazioni della percezione corporea (“Non ho sentito dolore quando sono stato colpito, anche se sapevo che doveva fare male”, “Alcune parti del mio corpo sembravano distorte: erano più grandi o più piccole del solito”)
  • le alterazioni sensoriali (“Ho udito/sentito/visto qualcosa che sembrava reale, ma che invece non c’era”)
  • le alterazioni nella percezione del tempo (“Non saprei dire quanto è durato”, “Era come se il tempo si fosse fermato”).

Sulla base della manifestazioni che lo contraddistinguono, il Freezing si configura come una reazione di marca psicotica, allucinatoria, ma che, nel contesto della risposta traumatica, risulta funzionale alla sopravvivenza.

Sul piano neurologico, infatti, l’impossibilità di scaricare in un compito motorio (“combattere o fuggire”) l’attivazione che si è prodotta durante la prima fase di esposizione al trauma, comporta il rischio che il sistema nervoso “vada in sovraccarico”.

La dissociazione “stacca” temporaneamente la psiche sia dagli stimoli esterni (evento traumatico) che da quelli interni (impulso ad attuare il compito bio-evolutivo di sopravvivenza), salvaguardando in questo modo la sua integrità.

Quando una persona ha avuto una reazione di Freezing, impiega un certo tempo per riallacciarsi alla realtà.

E’ importante ricordarsi che i sintomi dissociativi sopra descritti sono fisiologici, ed è naturale che permangano per un certo numero di ore dopo la cessazione dell’evento traumatico.

Anche se sembra strano, la reazione dissociativa fa parte del processo di elaborazione del trauma, e ha una valenza terapeutica.
Interrompere questo processo, per esempio attraverso la contenzione farmacologica (somministrazione di ansiolitici, antipsicotici, etc.) o fisica (legare/immobilizzare) significa ostacolare la capacità di recupero della persona – che, ricordiamo, è intrinsecamente resiliente – e aumentare così il rischio di cronicizzazione.

Nell’ambito della reazione traumatica, o reazione da stress acuto, tutte le manifestazioni (comprese quelle “bizzarre” o “violente”) costituiscono segni, non sintomi: il Freezing post-traumatico non deve essere interpretato come PTSD (Sindrome da stress post-traumatico) o, tanto meno, come disturbo psicotico, ma come una modalità transitoria di risposta all’evento.

IN SINTESI,

Tutte le risposte che caratterizzano la reazione traumatica – Fight or Flight e Freezing – incrementano le probabilità di sopravvivenza, fisica e psicologica, dell’individuo: “combattere” significa intraprendere delle azioni per limitare i danni; “fuggire” equivale a cercare un posto sicuro; “congelarsi” è un modo per proteggersi da una situazione che non può essere modificata, e attendere in stand-by il momento in cui sarà di nuovo possibile agire.

Spesso i sopravvissuti provano sentimenti di colpa o di vergogna per avere reagito con queste modalità, che descrivono come “primitive” o “brutali”. Sentono che una persona “civile” dovrebbe essere immune alle reazioni che automaticamente si producono in ognuno di noi alla presenza del pericolo.

In realtà, le risposte di Fight or Flight e Freezing sono non solo normali ma anche necessarie: al contrario, è lo shock emotivo associato al trauma, caratterizzato da sentimenti di terrore, angoscia, impotenza, orrore e confusione, a essere realmente nocivo.