L’agente terapeutico

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Nel leggere La scoperta dell’inconscio, il bel saggio di storia della psichiatria dinamica pubblicato da Henry F. Ellenberger nel 1970, uno degli elementi che più colpiscono l’attenzione è il ricorrere – in tutte le “metodologie” ideate nelle varie epoche per curare la sofferenza mentale – di una costante che chiameremo “agente terapeutico”.

Ci riferiamo con quest’espressione al metodo usato per avviare nella persona il processo di guarigione, metodo che si diversifica in maniera sostanziale a seconda del tempo e del luogo in cui si è affermato, ma che si configura sempre come terzo rispetto al binomio terapeuta-paziente. Vediamo qualche esempio…

Nelle culture sciamaniche, le teorie elaborate per spiegare l’origine della malattia prevedono sempre l’intervento degli spiriti. Ellenberger elenca cinque paradigmi (intrusione di un oggetto-malattia, assenza dell’anima, introduzione di uno spirito, infrazione di un tabù, stregoneria) che, anche se in maniera diversa, chiamano tutti in causa questo genere di entità.

Coerentemente, il metodo terapeutico comporta l’accesso a tale dimensione, così come accade in Siberia, dove “Gli sciamani affermano di poter […] seguire nell’altro mondo le tracce dell’anima perduta, nello stesso modo in cui un cacciatore segue la selvaggina nel mondo fisico.” [Op. cit. pag. 6]

In questo caso, quindi, l’agente terapeutico è costituito da un principio immateriale che è nello stesso tempo causa e rimedio dello stato patologico del paziente. Analogamente, quando la sofferenza mentale viene interpretata come possessione, il male è determinato dalla interpolazione di un’entità diabolica nel sistema-paziente, mentre il rituale previsto per allontanarla chiama in causa un’entità di segno opposto, ma afferente alla medesima dimensione, ovvero quella teologica cristiana.

In questo senso, l’esorcismo rappresenta la prima forma di “psicoterapia” praticata in Europa, una terapia la cui efficacia era direttamente proporzionale al grado di adesione, da parte di terapeuta e paziente, a uno stesso sistema di beliefs, ovvero alla medesima “visione del mondo”.

Il punto di svolta che segnò il passaggio alla psicoterapia modernamente intesa è di solito fatto coincidere con l’affermarsi di Franz Anton Mesmer che, nel 1775, credette di scoprire l’esistenza di un agente terapeutico privo – a suo modo di vedere – di risvolti trascendentali, in quanto afferente a una dimensione squisitamente fisica: il “fluido magnetico”.

Figlio del nascente Illuminismo, Mesmer descrisse questo “fluido” come una corrente energetica che circolava nei corpi, e la cui esistenza era empiricamente dimostrabile, sebbene la mancanza di strumenti adeguati non consentisse ancora di renderla misurabile…

Nell’ambito della psicologica clinica contemporanea, il mesmerismo è stato sostituito dalla psicoterapia ipnotica, mentre il fluido magnetico si è evoluto in rapport, o “alleanza di lavoro”.

Tuttavia, anche questa nuova configurazione designa un “terzo terapeutico” che è origine e, al contempo, principio risolutivo della problematica psicologica: si tratta, in questo caso, dell’inconscio: lo stesso a cui fanno riferimento gli psicoanalisti quando asseriscono di curare attraverso i movimenti, reciproci e speculari, di transfert e controtransfert.

Ma, in ultima analisi, che cos’è questo misterioso fattore terapeutico, capace di adattarsi al contesto socio-culturale in cui è inserito, assumendo di volta in volta il nome e la forma che meglio vi si adatta? Fra gli insegnanti della mia scuola di specializzazione circolava una battuta abbastanza significativa: “Sbrigati a guarire il tuo paziente, prima che guarisca da solo!”.

Con tale espressione, si fa riferimento alla capacità di auto-guarigione insita in ciascuno di noi, filogeneticamente depositata nel nostro apparato psichico, che rappresenta il vero agente curativo della psicoterapia: un agente che utilizza l’incontro terapeuta – paziente come innesco e catalizzatore del cambiamento.

[Parte del testo è comparso sulla rivista TicinoSette n°14 del 27/III/09 in un articolo dal titolo “Il caso del terzo terapeutico”]