Deontologia

Gender and Sexual Diversity (GSD)

L’espressione “Gender and Sexual Diversity” (GSD) indica la pluralità degli orientamenti e dei generi nell’ambito della sfera sessuale umana. Poiché all’interno di questa eterogeneità alcuni orientamenti (quello eterosessuale) e alcuni generi (sistema binario maschio/femmina) sono maggioritari, e cioè numericamente più diffusi nella popolazione (quanto meno nelle società occidentali contemporanee), l’espressione GSD implica anche l’opportunità di riconoscere pari diritti, dignità e libertà d’espressione alle persone con orientamento o identità di genere minoritari.

Si tratta di un’implicazione di un certo rilievo considerato che le minoranze, siano esse etniche, diversamente abili, religiose, sessuali o di altro tipo tendono a essere considerate in maniera non neutrale, e anzi vengono spesso discriminate. Per questo motivo, le persone con orientamento o identità di genere che divergono dalla “eteronormatività” possono sperimentare ciò che tecnicamente viene definito “minority stress”: una forma specifica di stress che scaturisce appunto dall’appartenere a una minoranza stigmatizzata.

In altre parole, il disagio che può derivare dallo scoprirsi omosessuale, bisessuale, transgender, queer, asessuale o altro non sussisterebbe in una società capace di accogliere a valorizzare la pluralità, che in realtà, come attestano molti studi di “diversity management”, tende a comportare un arricchimento della collettività anche in termini produttivi. Le motivazioni sottostanti l’intolleranza nei confronti della “diversità” sono dunque prevalentemente irrazionali, e afferiscono sia all’ambito psicologico che a quello sistemico, o sociale.

Storicamente, le differenze sessuali fra uomini e donne sono state impiegate come linea di clivaggio nella distribuzione del potere economico, politico e decisionale. La rigidità che spesso contraddistingue i ruoli sessuali è dunque volta a legittimare il mancato accesso a pari opportunità, mantenendo lo status quo attraverso la produzione di stereotipi di genere profondamente radicati. Ad esempio, poche donne occupano posizioni lavorative di tipo dirigenziale perché “non sono abbastanza forti per reggere lo stress” o sono “troppo umorali per prendere decisioni in maniera obiettiva”; dall’altra parte, pochi uomini lavorano come insegnati alla scuola materna o svolgono ruoli di assistenza alla persona perché “non hanno la sensibilità necessaria”.

Questo tipo di stereotipizzazione risulta ancora più pervasiva nel caso delle identità di genere e degli orientamenti minoritari, oggetto di pregiudizi suscettibili di trasformarsi in vere e proprie fobie (omofobia, transfobia, etc.) nei confronti di ciò che viene percepito come “deviante” dalla norma.

Non si tratta di un problema che interessa soltanto le fasce meno scolarizzate della popolazione: il pregiudizio nei confronti di orientamenti affettivo-sessuali e identità di genere minoritari attraversa trasversalmente tutta la società, ed è talvolta ravvisabile anche presso psicologi e psicoterapeuti, con particolare riferimento a quelli che propongono le cosiddette “terapie riparative”, finalizzate ciò a “ricondurre” le persone LGBT nell’alveo dell’eterosessualità, in flagrante contraddizione con quanto asserito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che dal 1990 riconosce gli orientamenti non eterosessuali come “una variante naturale del comportamento umano”.

Le “terapie riparative” contrastano inoltre con quanto espressamente previsto dal Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, che all’articolo 4 attesta quanto segue:

“Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.”

Anche se l’evoluzione culturale tende lentamente a ridimensionare i pregiudizi imperniati sul sesso e la sessualità delle persone, i dati relativi al persistere del gender gap, il reiterarsi degli episodi di violenza di genere e bullismo omofobico, le discriminazioni operate nei contesti pubblici e lavorativi mostrano come una condizione equa e rispettosa di tutti non sia stata ancora pienamente raggiunta.

I pregiudizi hanno ricadute sensibili nei rapporti fra le persone, e anche nella percezione che la persona ha di se stessa. Per questi e altri motivi è importante prendere coscienza dei meccanismi, interni ed esterni, che conducono alla formazione e talvolta al radicamento del pregiudizio, consapevoli del fatto che disinnescare un’idea preconcetta significa ogni volta guadagnare gradi di libertà supplementare.